Articolo dell’ ing. Mauro Conte
ALFA ROMEO 159: ALFISTI PESANTI
159 e derivate, fra le moderne del biscione, per molti sono un capitolo da cestinare. Dopo 15 anni dal suo debutto proviamo a dare un’occhiata a quest’auto con sguardo diverso, di chi ha visto le sue eredi e la Giulia, provando a far vacillare alcune leggende metropolitane che ancora l’affliggono, a partire dal peso eccessivo per colpa del telaio Opel finendo con i motori Opel.

156 VS 159: MA HA VERAMENTE SENSO CONFRONTARLE?
Della 156 c’è poco da dire, vinse il Car of the Year 1998 per le molteplici innovazioni tecnologiche e stilistiche in rapporto al prezzo di vendita. Le pressioni sulla futura 159 erano enormi: non solo bissare il successo della progenitrice, ma dare agli Alfisti finalmente un’auto al livello della BMW Serie 3. Peccato che l’approccio rimase invariato: Alfa doveva nuovamente estrarre il coniglio dal cilindro prendendo in prestito il materiale in casa. Ci fu però una grossa novità: dalla collaborazione di FIAT con GM ad Alfa venne dato modo di poter contare su una piattaforma completamente nuova, progettata da zero ma da condividere con altri marchi, senz’altro gloriosi ma estranei al suo pedigree. Per quanto il presupposto non fosse ancora dei migliori, almeno era una partenza migliore della 156 dove in Alfa compirono il miracolo stravolgendo radicalmente il pianale della Tipo dell’89.
Arriviamo quindi al primo mito che ancora affligge questa povera macchina, il telaio Opel. Quello che fa sorridere, è che l’unica auto italiana ad usufruire dell’Epsilon II fu la contemporanea Croma, ma questo non provocò nessuna indignazione agli amanti dell’auto italiana per motivi ben immaginabili. Al contrario, per il Premium della 159 lavorò un team composto da 180 uomini tra Alfa Romeo e Saab a Trollhattan, vicino Goeteborg in Svezia, con l’Ing. Paolo Sandri in qualità di Team Leader, un uomo con un folto passato di dirigenza in FIAT. Insomma, una collaborazione che rimanda per certi versi ai tempi della 164, anche se alla fine il Premium finì solo sulle Alfa Romeo.
La neonata calamitò le polemiche che ben sappiamo, una su tutte quella sul peso infinito, ma la critica al peso un fondo di verità ce l’ha e si basa su due fattori. Il primo è che rispetto alla stessa 156 al debutto alcuni organi meccanici (come le sospensioni) non erano in alluminio e ci volle il primo restyling del 2008 per un alleggerimento di circa 50kg. Il secondo è che al lancio della 159 la stragrande maggioranza delle concorrenti era a fine del ciclo vita come l’A4 B7, un restyling molto pesante del modello del 1999, un’auto più affine alla 156 che alla 159. Con la 159 si giocò per una volta tanto d’anticipo, infatti le nuove generazioni delle berline concorrenti presentate circa un paio d’anni dopo la 159 si assesteranno sulle sue masse e dimensioni, e grazie all’alleggerimento del restyling del 2008 l’erede della 156 è allineata alla concorrenza anche sui pesi. Non siamo ai livelli di BMW, ma in quegli anni il costruttore bavarese rasentava l’eccellenza e non la normalità.
Rispetto all’aggiornamento del 2008 probabilmente si poteva limare qualcos’altro, ma non di certo svariati quintali: un’analoga Giulia segna 120kg in meno, circa. E dietro quel buon quintale non c’è solo la selezione e creazione della migliore componentistica meccanica, ma anche 10 anni di progressi dei software di calcolo, già da soli garanzia di geometrie più raffinate e leggere. Tuttavia, ci si è accaniti all’unanimità su tutto ciò che non fosse palesemente italiano, sparando a zero sul Premium incolpandolo del peso eccessivo della berlina per il semplice fatto di esser pensato per auto di categoria superiore. Eppure, il CLAR delle ultime Serie 3 deriva da quello della Serie 7.
Rispetto alla 156 circa 200kg in più, ma è una differenza riscontrabile anche su altri modelli del periodo. 156 e 159 sono lontane di una distanza quantificabile per esempio in 4 A4: la 159 telaisticamente era all’avanguardia (5 stelle EuroNCAP nel 2005), l’altra… parliamone. La 156 era paragonabile alle concorrenti che AutoBild individuò per una comparativa presso i laboratori dell’ente di certificazioni TUV Sud, usando le stesse modalità dell’Euro NCAP (64 km/h ed offset del 40% su barriera deformabile): il video della prova, quello con la 156 gialla, è ancora facilmente reperibile in rete. Per i risultati in tabella il merito va a Luca Comandini, giornalista presso SicurAUTO.it che ne ha consentito la pubblicazione, reperiti direttamente dalla rivista: purtroppo l’Alfa nel test di Autobild è quella che se la cava peggio, i video e le immagini sono vere.
Una conferma importante quella di SicurAUTO ma che non dovrebbe esserlo, perché non essendo prove ufficiali sono state bollate in automatico come inattendibili e viziose dalla maggior parte degli appassionati. Ma se da un lato si tratta di un modo di deformarsi in realtà normale per un’auto degli anni ’90 (magari non proprio il top per un’auto pronta al nuovo millennio), dall’altra se si pensa che la 156 è rimasta in commercio fino al 2005 senza aggiornamenti strutturali è più che comprensibile come molti reputino questa performace non credibile essendo in totale contrasto col l’aura di magnificenza di quest’auto.
Si osservò che le probabilità di sopravvivenza in un grave sinistro sono strettamente correlate al mantenimento del volume dell’abitacolo. Dall’istituzione dell’EuroNCAP in poi i montanti A delle auto resteranno il più possibile immobili mentre il volume anteriore dovrà massimizzare l’assorbimento energetico. Qual è il punto? La concorrenza specialmente tedesca, diretta rivale di Alfa, farà il salto generazionale praticamente al debutto della 156: BMW (con la E46 grigia in foto) nel ’98, Audi nel ’99, Mercedes nel ’00, migliorando tutte notevolmente le proprie performance (da 1 stella nel ’97 per la E36 si passa alle 4 della E46). La stabilità dell’abitacolo verrà raggiunta da praticamente tutti i costruttori, anche sulle utilitarie, alla peggio nei primissimi anni del 2000.
L’unica prova dell’EuroNCAP di questa generazione Alfa arriva nel 2001: “THE 147 DID VERY POORLY in the frontal impact, exposing its occupants to serious risks […]”. Così inizia il report, con uno stampatello maiuscolo tanto informale quanto assordante, che sottolinea un comportamento strutturale del tutto simile a quello della 156 (come sulla berlina le aree più critiche sono gli arti inferiori). Per Alfa sul fronte telaistico il quadro era tutto fuorché roseo, la 147 nello specifico faceva effettivamente peggio di produzioni assai più generaliste come Fabia e Clio II (4 stelle contro 3 dell’Alfa) e nel dettaglio dell’impatto frontale persino di koreane come Daewoo Matiz e Hyundai Elantra. Cambiare piattaforma per Alfa non era una scelta.
Insomma, rapportare la 159 alla 156 così come la Brera alla GTV (o alla GT) non ha alcun senso, sono banalmente prodotti figli di epoche molto diverse. Se la conclusione potrebbe sembrare ovvia, al contrario altri fattori oltre ai crash test come le politiche commerciali rendono l’argomento più viscido: la 156 è rimasta in commercio per ben 8 anni senza aggiornamenti strutturali della portata dei rivali, da qui la leggerezza tanto osannata, ma se si pensa alle derivate 147 e GT il discorso è ancora peggiore perché fino al 2010 si potevano avere per nuove come 159 e sorelle, ma con caratteristiche di telaio affini alla 156.
“LESS IS MORE”
La verità di Colin Chapman ha forgiato l’identità della Lotus, elevando questa massima ad una legge assoluta della tecnica automobilistica. Tuttavia, il motto viene spesso abusato tendendo a ragionare in maniera assolutistica, come se oltre una certa soglia un’auto fosse pesante e basta, una conclusione estremista ed errata anche perché implicherebbe una sorta di uguaglianza fra auto pesanti uguali: chi mai paragonerebbe una Panda con una 4C?

La 159 non è una 156 con 3 cadaveri nel baule in omaggio: ha un passo più lungo ed è molto più larga, sia in assoluto che in relazione all’altezza. Le sospensioni sono più evolute della 156 ma è il telaio ad essere dotato di notevoli qualità. La rigidezza torsionale, parametro che incide fortemente sulla dinamica di guida, sulla 159 è di oltre 180.000 daNm/grado, quasi il doppio di quello della 156, circa di 100.000 daNm/grado. Insomma, alla faccia dell’hummus caldo (se non vi dice nulla, guardate la prima foto nell’articolo)!
La dinamica è una medaglia dove stabilità ed agilità sono le facce: storicamente si è sempre scesi a compromessi fra i due aspetti cercando di ottenere un buon mix. Lo steering pad è un test per valutare la tenuta di strada e dipende dal raggio di curva considerato, non dice tutto sul comportamento dinamico perché si sofferma più sulla stabilità: resta il fatto che a dispetto della massa in più rispetto alla progenitrice (il peso in più non aiuta mai) si migliora. Per farsi un’idea del mix fra agilità e stabilità si possono guardare altre prove come il test dell’alce (dove la 159 risultò migliore della BMW), oppure i test in pista ma da prendere con le pinze.
Ho scelto 3 tracciati, tortuosi con basse velocità medie e drivers professionisti. Balocco non ha bisogno di presentazioni: un piccolo inferno colmo di curve ma soprattutto grossi avvallamenti, capaci di mettere in crisi qualsiasi assetto, all’epoca di proprietà del magazine Auto. Autozeitung è il circuito di prova dell’omonima rivista tedesca, fra le più celebri in Germania, mentre il circuito di TopGear è l’habitat di Stig, un manico meritevole d’attenzione. Senza appendersi ai numeri volendo trovare un vincitore ed un vinto, perché non è modo e luogo per farlo, è evidente che la 159 sta in strada, ma anche la discussissima Brera 3.2 Q4 (che ha un assetto “standard”, non come quello delle GTA/QV).
Possiamo affermare, arrivati a questo punto, che il peso infinito non esiste.
I MOTORI “OPEL”
Col progetto 939 cessa la produzione dei motori Busso, l’unica cosa che restava di 100% Alfa Romeo. Gli ultimi JTS sono stati accolti con astio anche dai novizi al volante di unità forse altrettanto meno nobili come i Twin Spark più recenti, in realtà dei Pratola Serra (FIAT) con basamento in ghisa anziché in alluminio come quelli di 75 e 164 ma anche di molti altri costruttori che continuavano ad offrire.
Al momento dell’accordo, GM non possedeva unità da 3.2L e venne costruito un basamento in alluminio partendo da un 3.6 V6 da 54°, modificando le bancate a 60° su richiesta di Alfa: il resto (testa, aspirazione, scarico etc.) era specifico per il biscione. Il 3.2 JTS appartiene alla famiglia HFV6 (High Feature V6) ma è molto più prestante degli Alloytech di Opel e Holden che arriveranno 2 anni dopo ma con 227 CV anziché 260: no, la 159 non ha un motore trapiantato dalla Captiva. Tutti i motori Alfa continuavano ad avere un’elevata potenza e coppia specifica migliorando i numeri dei precedenti, ma anche i 4 cilindri vennero bollati ugualmente come Opel: eppure non ci sono altre auto con quei motori, ad eccezione del 1.8 MPI (codice F18D4) che su 159 rappresentava l’accesso alla gamma e stava effettivamente su altre auto, come Croma e Chevrolet Cruze. Il 2.2 Ecotec, quello Opel, lo aveva solo la Croma con 147 CV a causa di scelte diverse dal 2.2 JTS come l’iniezione MPI (multi-point) invece della diretta.
Alfa non ha fatto altro che usare basamenti di larga produzione per abbattere i costi, non di certo una novità, e la ragione per la quale sono stati usati quelli GM è unica e semplice: erano gli unici in alluminio mentre quelli FIAT erano in ghisa, materiale più pesante ed economico. Tuttavia è proprio l’offerta motoristica a lasciare insoddisfatti, il listino della 159 e sorelle continua ad essere focalizzato su unità a 4 cilindri: se persino negli anni ’90 possedere una BMW Serie 3 senza 6 cilindri era quasi percepito come un vorrei ma non posso, come ci si può aspettare che su un’auto più moderna (dunque più pesante) sia il contrario? La 159 ha cominciato a vivere l’era del downsizing, ma questa filosofia ha trasformato i 6 cilindri aspirati in 4 turbo (vedi ad esempio i Kompressor Mercedes). Insomma, vanno benissimo gli aspirati a 4 cilindri, anche la Serie 3 li aveva, ma c’era larga offerta di 6 cilindri ed un V8 sulla M3. La 159 invece aveva un solo V6 con la sfortuna di essere un 3.2, una cilindrata da sempre sinonimo del massimo delle prestazioni e ci si è aspettati il top da questa configurazione, paragonandola anche alla 156 GTA: ma le 3,2 JTS si potevano avere con allestimento Distinctive e cerchi da 17”, tutto l’opposto di una GTA.
Anche sui diesel, a dirla tutta, il discorso non è migliore: validi presi per quello che sono, però manca davvero qualcosa che faccia ballare la 159. I 200-210 CV della 2.4 JTDm non sono purtroppo erogati dai V6 della concorrenza, che in quanto a coppia e prontezza al gas sono un’altra dimensione. In realtà, sulla 159 era prevista una “vera alta gamma”: era pianificato un V6 a gasolio, lo stesso della Thema e delle Maserati, che sicuro avrebbe elevato la 159 fra le reginette delle autobahn. E poi c’è lui: un 3.2 da 400 CV. Pare proprio che questa versione era nelle menti dei progettisti dal principio, anche se come ormai è noto il prototipo di 159 GTA era spinto del celebre 4.7 V8 Maserati in quanto già in fornitura per la 8C Competizione.

Con ogni probabilità, il 3.2 sarebbe stato bi-turbo e sarebbe stata una scelta eccellente per due ragioni ben precise: la prima, è che ad oggi si tratta dello stato dell’arte su queste auto; la seconda, è che in Alfa di bi-turbo qualcosa ne sapevano, la casa Milanese lo aveva già sperimentato sui Busso superando la soglia dei 400 CV con successo (vedi la Scighera di Giugiaro). Un V6 sovralimentato sarebbe stato decisamente più a suo agio nel cofano della 159, senza degradare eccessivamente la ripartizione delle masse e non obbligando a contorsionismi anche per cambiare le lampadine: un vero peccato che non abbia mai visto la luce assieme al V6 a gasolio. Certo, mai si sarebbe cancellato il desiderio di M3, ma del resto la 156 ci riuscì? Viste le qualità stradali della 159 difficilmente avrebbe fatto peggio dell’analoga RS4, spinta da un V8 (ma longitudinale) e ben 1795kg a secco nella versione sedan.
L’offerta motoristica cambiò nel 2009 con il nuovo 2.0 Multijet II ed il 1750 TBi (prodotto da FPT con basamento in ghisa) che però venne (e viene) percepito come una versione di punta. Non furono sprecati i richiami allo storico 1750, un motore di alto rango ere fa: negli anni della 159 questa cubatura era un entry level. Un po’ come se oggi debuttasse su Giulia il 1.3 Firefly e volassero analogie col mitico bialbero del GT Junior. Al grido dei tanto pubblicizzati 200 CV leggeri si cercò in queste versioni quello che alcuni non videro nella V6, e non si potè che restare insoddisfatti: un milleotto turbo da 200 CV fa ballare solo una Polo (guardacaso la GTI che motore aveva?). Non sembra che fosse intenzione dei progettisti creare un “vero” motore sportivo: il 1750 rimpiazza i 1.9 e 2.2, non il 3.2, lo scarico impedisce di farsi nemici i vicini di quartiere e l’erogazione non è l’ideale per chi vive al limitatore. Si tratta, ed a ragione, di un motore estremamente moderno ed elastico che mette a frutto lo stato dell’arte dei turbobenzina per erogare 320 Nm a 1400 rpm, il che garantisce un notevole comfort di marcia, l’ideale per una guida briosa nella quotidianità.
ALFA ROMEO GIULIA: ISPIRATA ALLA 156, NON ALLA SERIE 3
La scelta di non realizzare una 159 GTA o quantomeno dotarla di motori davvero potenti, con prestazioni al top del suo tempo, contribuì a rafforzare l’immagine di un’auto lenta. Sul capitolo motorsport, anche qui nulla che le faccia onore: a detta dello storico Ing. Limone, la 159 sarebbe senz’altro risultata poco competitiva a causa della sua stazza. Eppure la M3 E92, anch’essa ulteriormente più grande e pesante della precedente E46, nel TCR vinse 4 titoli e nel DTM l’A4 si fece rispettare con 3 mondiali consecutivi (2007, 2008 e 2009). Insomma, sul fatto che sulla 159 ci siano state delle scelte progettuali poco consone alle corse e mancanze grossolane evidenziate dallo stesso ingegnere non si discute, ma si resta perplessi. Non risulta che auto come la stessa A4 nascano di serie con soluzioni ottimali per la pista e se si pensa che l’Alfa Corse trasformò la 155, la Regata dell’Alfa, in una icona del DTM e delle Alfa da competizione di sempre a costo di rivederne ogni singolo bullone, sembra ovvio che il limite principale non fosse l’auto ma le finanze: quelli della 159 erano gli anni delle vacche magre.
Come finì è noto. La 159 venne definita da Marchionne una non Alfa (altro che Arna) ed alla presentazione della Giulia ci dimenticammo tutti che prima c’era lei e non la 156: lo stesso designer ribadì “ispirata alla 156 e non alla Serie 3” per rispondere alle accuse di chi ci vide da subito molto della bavarese e meno di Alfa anche se, della 156, non si è ancora ben capito cos’abbia. La grandezza della Giulia si basa proprio sulle proporzioni auree di una berlina a trazione posteriore come la BMW, parlando di produzioni recenti, ancor prima del quintale in meno rispetto alla concorrenza stavolta abbinato a punteggi eccellenti nei crash test e dimensioni pressochè identiche alla 159, con buona pace di chi ci vide la compattezza della 156.
Il paradosso è che è proprio la 159 ad essere ispirata alla 156 in quanto si limita ad evolverne la formula: la Giulia, per fortuna, è nata da foglio bianco scegliendo solo il meglio per un’auto del genere, a partire dalla meccanica a finire ai tasti degli alzavetri, considerando le reali contendenti. La trazione anteriore implica una ripartizione dei pesi ben lontana dal 50/50, che su un’auto come la Giulia caricherebbe l’anteriore anche di oltre 200kg che si oppongono alla rotazione, aumentando la percezione del peso; poi, con una installazione trasversale-anteriore del motore ci sono limiti stringenti sulle unità utilizzabili. Quest’ultimi, prima del peso, sono un altro grosso problema sulla 159: ci si è limitati ad adeguare la gamma della progenitrice senza sfruttare l’integrale per superare di slancio i 260 CV, offrendo versioni di punta allineate alla concorrenza che la sola trazione anteriore non può dare. Il punto è proprio questo: le Alfa 939 non sono tanto lente rispetto alle precedenti, è che non sono riuscite a segnare un nuovo benchmark prestazionale sia rispetto ai modelli passati che a quelli della concorrenza, sempre più veloci di generazione in generazione.
La 159 è stato il perfetto capro espiatorio di un gruppo che ha sempre avuto successo a patto di volare basso sui listini. Quello che della 159 è davvero pesante non è il telaio ma l’alfista almeno nelle sue mutazioni più radicali (che ahimè sui social sovrastano le altre come la variante inglese del Covid-19), capace di aspettative irrealizzabili e di tramutare finezze, non necessariamente mancanze, in orrori colossali (vedi “gli angoli di Ackermann” della Giulia, povera macchina). Oltre agli alfiattari però anche stampa e dirigenza diedero il loro contributo, specie quando la 159 non poteva più fare cassa, di fatto incolpandola di aver seguito un trend che nell’evoluzione automobilistica volenti o nolenti è una costante e solo di questi tempi sembra aver raggiunto il limite. Non solo, in Alfa un ingrassamento come quello della 159 non era una totale novità: per citare un’insospettabile, la 146, rispetto alla 33 aveva più o meno dai 2 ai 3 quintali in più per via dell’adozione di un telaio unibody Tipo 2, ma non ci fu un analogo adeguamento delle potenze dei boxer. Anzi, tutt’altro, 145 e 146 furono la tomba dei boxer, rispetto alla 33 la differenza sullo 0-100 si esprime in secondi, altro che decimi: eppure non è bastato a far passare la 146 come un’auto magari bella ma troppo lenta a causa del suo peso infinito. E non che lo abbia dovuto meritare, 120CV anche sulla 147 non emozionano nemmeno lontanamente come 90 sulla 33: evoluzione.
La 159 ha indubbie lacune ma queste non sono frutto di circostanze ed influenze estere come si è lasciato intuire, ma di una prestabilita e lucida visione aziendale che col tempo ha distrutto anche Lancia. Ciò per scelte storicamente di ottimo per utilitarie e strette derivate: non a caso negli ultimi decenni i modelli meglio azzeccati del gruppo FIAT anche sotto solo un profilo commericale sono proprio quelli compatti e relativamente poco costosi. Le premium del vecchio gruppo, ora Stellantis, non godevano certamente l’appeal delle cugine tedesche (e chi ce l’ha?) ma è anche vero che non sono mai state curate come meritavano, spesso apparendo non degne agli occhi degli acquirenti del prezzo richiesto alimentando in circolo vizioso la loro cattiva fama. Un cerchio che con Giulia e Stelvio si è provato finalmente a rompere con decisione ma per riuscirci l’ingegneria non basta, serve tanta perseveranza e tonnellate di umiltà anche se ci sono indiscusse aree di eccellenza. Perché quello che gli altri hanno costruito in decenni con fatica non si riconquista con un modello dopo lunghi anni di grigio dei quali la 159 fa parte senz’altro, ma allo stesso modo di tante altre che costituiscono ugualmente la storia di uno dei marchi più importanti dell’automobilismo.
M.C.
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