Lo ammetto, la “novessedici” non è la mia Alfa Romeo preferita. Le sue forme molto audaci con il posteriore tronco seppur aerodinamicamente molto funzionali non riescono ad emozionarmi. Forse perché faccio fatica a togliermi dalla testa l’idea che la sua genesi sia passata in qualche modo dal prototipo dell’Audi Quartz, un concept che non ho mai interamente digerito. I miei vaghi pregiudizi però hanno vita breve. Appena ci salgo, nel piazzale della concessionaria Cozzi di Legnano (Milano) della quale Alfa Garage, divisione fondata di Fratelli Cozzi è parte, dimentico tutto.
Mi siedo, letteralmente calandomi al posto guida, accolto da una vasca ricavata tra i brancardi alti e coccolato da un sedile comodo e davvero ben profilato. Il Volante, conservato magnificamente dai tecnici di Alfa Garage è vellutato come se fosse nuovo e la voglia di potarla tra le curve è tanta. Riccardo Rolfi, social media manager del gruppo Cozzi che si è rivelato essere anche un insostituibile aiutante durante la giornata di riprese, ci accompagna in una strada adatta.
Una macchina da curve
Appena la GTV si lascia libera di esprimersi immediatamente è tutto chiaro. Ci troviamo al cospetto del solito capolavoro telaistico di Alfa Romeo. Da quella che era la piattaforma della Tipo, i tecnici del Biscione hanno ricavato una macchina da curve. Rigidità torsionale che, all’epoca della presentazione, era da primato assoluto ed un lavoro incredibili sulle sospensioni. Con metodi industriali all’epoca avanguardisti, sono stati prodotti dei telaietti supplementari in lega leggera al posteriore attraverso i quali si è ricavato un retrotreno attivo autoportante ed autosterzante con sospensioni Mutilink a quattro bracci. Una raffinatezza meccanica che unita ai McPherson all’anteriore ed alle barre antirollio su entrambi gli assi annichilisce il sottosterzo come fosse antimateria che incontra la materia.
Il bilanciamento dei pesi è da manuale grazie all’adozione di materiali compositi per la costruzione del cofango e leghe leggere per il telaio. La batteria ed il serbatoio al posteriore bilanciano perfettamente le masse ed il risultato è un baricentro dell’auto che coincide con quello del guidatore. Un piccolo miracolo che fa della GTV 916 probabilmente l’auto a motore e trazione anteriori più bilanciata di sempre. E si sente!
“Sì però il JTS...” molti di voi ci hanno scritto su Instagram.
Il JTS va forte ed è un ottimo motore. Lasciate che ve lo racconti.
Come in cielo, così in terra
Oggi proviamo il JTS ma per parlare “per bene” del motore forse più discusso di Alfa Romeo dobbiamo partire dall’inizio. Dobbiamo partire dal Twin Spark.
Il Twin Spark, come dice il nome stesso, a “doppia candela”, arriva da lontano nel tempo ed ha origini aeronautiche. La doppia accensione veniva utilizzata nei motori degli aerei da combattimento della prima guerra mondiale per una questione di ridondanza.
Come succede anche oggi, in aviazione la ridondanza dei sistemi è una condicio sine qua non per la sicurezza del volo e le candele poco affidabili di quegli anni resero imperativa l’adozione di un sistema doppio. Ci si accorse però, come sui motori aeronautici Lancia (sì, Lancia faceva motori per aerei all’avanguardia ma troppo costosi per il mercato italiano, storia già vista) questo sistema “Twin Spark” ante litteram portasse anche ad un incremento di potenza significativo. La sperimentazione finì immediatamente nelle competizioni automobilistiche e nel 1914 fu utilizzato nell’ALFA Tipo Grand Prix, con un 4 cilindri quattromilaessei a doppia candela. Il motore erogava 88 cavalli. Nel “chilometro lanciato” raggiunse i 148 km/h. Era il 1914 e non erano noccioline.
Il tempo passa, le guerre mondiali sono solamente un brutto ricordo. Arrivano gli anni ’70 e la crisi petrolifera del 1973 porta con sé la necessità di evolversi. Il sistema Twin Spark viene ripreso e studiato da Alfa Romeo sotto la direzione di Cesare Bossaglia proprio per avere una combustione migliore cercando la massima efficienza possibile. Il resto è Storia ed il carattere del Twin Spark lo conosciamo tutti. Un suono innegabilmente affascinante e quella “coppiona” che accompagnava il suo gorgogliare inconfondibile. Anche i Twin Spark però non erano tutti uguali essendo i pre-FIAT con basamento in alluminio ed i successivi con basamento in ghisa e la seconda candela più piccola a causa delle modifiche alla testata necessarie per alloggiare 4 valvole per cilindro. Poco male, quando si parla di un motore che è entrato nel mito.
Il JTS. Va forte e ma non ditelo in giro
Oggi sono più prolisso e noioso del solito, ma è necessario introdurre brevemente il contesto del periodo. Cercherò anche di essere il più chiaro e semplice possibile quindi vogliate scusarmi se cercherò di semplificare le cose in maniera eccessiva ma ritengo che sia necessario sacrificare qualche dettaglio sull’altare della chiarezza per chiunque.
Con l’inesorabile avvicinarsi delle normative Euro 4 di metà anni 2000, il gruppo FIAT si trovò costretto a fare qualcosa per ridurre le emissioni dei 2.0 Twin Spark di cui sopra.
Dal Giappone arrivavano i primi motori a “combustione magra” che aumentavano la componente aria nella miscela iniettata nei cilindri per ridurre consumi ed emissioni.
I motori fino a quel momento lavoravano con il cosiddetto “rapporto stechiometrico”, ovvero la miscela aria benzina con un rapporto di 14,7:1. In parole povere per ogni kg di benzina consumato (il motore brucia i chili, e non i litri) dal motore, sono necessari 14,7 chilogrammi d’aria.
Per ottenere una combustione magra bisogna aumentare questa quantità d’aria ma ciò comporta anche un peggioramento della combustione. Immaginate all’interno del cilindro tante piccole goccioline di benzina. Nella combustione “stechiometrica” di 14,7:1 si trovano tutte ad una distanza tale per cui all’accensione di quella più vicina alla candela a catena si accendono tutte le altre. Con una combustione più magra si accenderanno quelle più vicine alla candela ma le altre, troppo distanti, faranno fatica. Il risultato sarà una combustione non ottimale ed un motore che singhiozza.
I giapponesi di cui sopra, (sempre un passo avanti) hanno pensato di creare tante piccole “bolle” all’interno delle quali le goccioline di benzina avessero un rapporto stechiometrico (e di conseguenza una distanza ottimale). Accendendosi le particelle all’interno delle “bolle” più vicine alla candela si sarebbero accese le intere “bolle” che a cascata avrebbero acceso tutte le altre. Si chiamava carica stratificata. Per farlo però la miscela andava iniettata non più nel collettore d’aspirazione ma direttamente nel cilindro.
Ecco l’iniezione diretta. Diretta a carica stratificata.
I vantaggi dell’iniezione diretta sono notevoli, anche a fronte di una maggior complessità di realizzazione, tanto che i motori a benzina di oggi sono praticamente tutti così. La benzina iniettata direttamente in camera di combustione riempie il cilindro in maniera migliore, alzando il rapporto di compressione ed ottenendo un notevole miglioramento delle prestazioni. Non solo, raffredda anche il cilindro ed alle migliori prestazioni si somma il mantenimento dell’affidabilità.
C’è però un problema: il motore consuma meno ma i vantaggi prestazionali dell’iniezione diretta vengono meno con l’adozione della carica stratificata perché una combustione magra agli alti regimi provocherebbe alte temperature. Era quindi necessario tornare verso miscelazioni più ricche quando si chiedevano prestazioni al motore. Per farlo, i giapponesi avevano progettato i condotti d’aspirazione in maniera tale che agli alti regimi creassero turbolenze al fine di ridurre la portata d’aria verso la camera di combustione, generando una miscela più simile a quella stechiometrica.
Le prestazioni però ne risentivano e la brillantezza dei motori “vecchia scuola” ad iniezione stechiometrica indiretta era un’altra cosa
Qua entrano in gioco gli italiani
Pur adottando l’iniezione diretta (GDI, Gasoline Dirext Injection ma tra amici chiamiamola Jet Thrust) tecnici Alfa scartano immediatamente la carica stratificata. Si scelse di perseguire la strada della carica omogenea stechiometrica di 14,7 : 1 (Stoichiometric). Da qui la sigla JTS: Jet Thrust Stoichiometric.
Per ottenerla si prende il basamento in ghisa del Twin Spark e si ridisegna completamente la testata. Il risultato è un motore con una pressione di 100 bar direttamente nel cilindro, una carica stratificata ai bassi carichi, stechiometrica attorno alla coppia ottimale e ricca agli alti regimi. I tecnici Alfa Romeo erano riusciti a migliorare le prestazioni già notevoli del Twin Spark del 10% con un rapporto di compressione di 11,25 : 1.
In parole povere è come se il Twin Spark 1970cc fosse diventato un 2270cc senza però aver tocccato la cubatura.
Montato sulla GTV questo JTS italiano eroga 165 CV, 206 nm e lancia la piccola granturismo di Arese a 100 km/h in 8 secondi.
Quando si parla di JTS molti Alfisti storcono il naso un po’ per partito preso. “Il motore dei canguri” qualcuno lo chiamava non a torto perché la seconda serie aveva il basamento (in alluminio) che derivava da un progetto di GM pensato per l’australiana Holden.
Su questa GTV 916 di Alfa Garage però come abbiamo visto siamo di fronte ad una creatura differente. Il 2.0 JTS è un cosiddetto “pratola serra”. Italiano in ogni sua parte, oltre al passaporto condivide con il babbo Twin Spark il basamento.
Un motore che è vero, non ha il carattere del suo predecessore. Non ha quel ruggito inconfondibile e non ha il fascino di quelle due paroline magiche in inglese “Twin Spark” ma che va forte, ha tanta schiena e sale velocemente verso la zona rossa, spingendo questa piccola GTV più forte di quanto si possa immaginare.
Fonti:
Savelancia.it “Lancia, evoluzione e tradizione”
Pingback: Alfa Romeo Brera: l'AlFiat pesante che merita di più - Piedi Pesanti
.. uno che gira da solo con la mascherina ..
(si è già detto Tutto)
il famoso vedere la pagliuzza nell’occhio del vicino e non la trave nel proprio.
eh purtroppo non faccio il giornalista del web e NON devo inventarmi balle e raccontar di Asini che Volano x tirare a campare ogni giorno … del resto ce ne sono già così tganti qui in terra .
nemmeno noi. Facciamo tutti altri lavori per tirare a campare. Ma possiamo appurare la bontà della tua affermazione confermando la grande abbondanza di asini sulla terra.