Da quando sono motociclista ho sempre snobbato il marchio Harley Davidson. Lo so, non è il migliore degli inizi per un articolo sul marchio americano, ma è giusto fare qualche premessa. Chi negli anni mi ha conosciuto un po meglio ha sempre espresso grande perplessità sulla possibilità che le Harley Davidson potessero starmi a cuore. Senza alcuna ragione evidente ma con un mare di motivazioni convincenti ho in effetti sempre mantenuto le distanze da Milwaukee.
Questa estate però in me è cambiato qualcosa. Ho sentito un crescente interesse che in lingua americana mi faceva sobbalzare ed emozionare alla vista di alcuni modelli di Harley Davidson. Non mi era mai successo nulla di simile, e all’alba dei 30 anni i più spudorati esordiranno con la solita battuta: “è l’età, stai invecchiando”.
Così, spinto da questo interesse, mi sono recato nel primo concessionario Harley Davidson a disposizione ovvero quello di Bergamo, nel comune di San Paolo D’Argon. Il primo impatto è devastante, sembra di aver cambiato nazione e mi avvolge un trionfo di cromature, pedane avanzate e manubri alti. Insomma, non proprio il massimo per me che scendevo dalla Ducati Multistrada, ma a onor del vero, fascino e stupore hanno decisamente prevalso su perplessità e disgusto.
Guidato dal gentilissimo Christian (che saluto e ringrazio anche se forse non leggerà mai questo articolo) ho fatto un breve viaggio nel mondo Harley toccando con mano alcuni modelli ritenuti a mio avviso più adatti alla mia personalità. Alla fine ho deciso, anche su consiglio esperto proprio di Christian, di noleggiare per l’indomani una Harley Davidson 48 di ultima generazione. Ivo, l’amico di viaggi in moto e non solo, approva, d’altronde è colpa sua se adesso considero le Harley come moto alla “mia altezza”.
Il giorno dopo mi ritrovo al cospetto di una Harley Davidson 48 (la mitica forty-eight) con serbatoio e dettagli color amaranto, cromature un po ovunque e pedane avanzate. Insisto sulle pedane come non ci fosse un domani e presto capirete perché. Salto in sella o meglio mi calo sulla sella decisamente più bassa rispetto a quella delle moto che guido di solito e do vita alla leggenda americana. Il suo bicilindrico inizia a borbottare con tonalità cupe, basse ma ahimè mai pungenti seppur coinvolgenti. Poco male, come primo test questa andrà benone anche se vibra come un dannato.
Ingrano la prima e bastano pochi metri per capire che devo rinunciare a ogni convinzione di aver a che fare con una moto normale. La mia postura in sella è una sorta di tortura cinese alla quale mi abituerò (più o meno) solo molti chilometri dopo. Il cambio ruvido ma preciso mi riporta indietro di qualche anno, quando le moto non avevano cambi elettronici e frizioni leggerissime. È un piacevole ritorno ai 125 e ai 250 smarmittati per intenderci. 1°, 2° e 3° marcia potrebbero fare di tutto. Il cambio ha infatti una rapportata lunghissima, che anche nei sorpassi più decisi non vi obbliga però a cambiare marcia perché di coppia qui ne abbiamo a vagonate.
È giusto però darvi una sorta di scheda tecnica di questa Harley Davidson Fort-eight. A spingerla ci pensa un bel 1202 cc da 67 cv e ben 96 nm di coppia che a me sembrano disponibili anche da spenta. Ha l’iniezione elettronica, un paio di accortezze per andare più forte e consumare meno, ma pesa comunque 247 kg, pur essendo davvero compatta nell’aspetto. Il listino del nuovo parla di circa 12.700 euro, e anche l’usato difficilmente fa sconti, segno che questa moto se non altro è una sorta di assegno circolare. Non come la iconica 883, ma ci si avvicina parecchio.
Osservandola da vicino si nota subito una certa cura al dettaglio. Difficile trovare sbavature o qualcosa fuori posto. La qualità percepita, complici cromature e dettagli in colorazione nera opaca, è altissima. Di ottima fattura anche gli scarichi, anche se un po silenziosi per il genere di moto, meglio richiedere subito qualche accessorio made in USA per farla cantare il giusto. L’anteriore ci accoglie con il classico faro circolare ma anche con uno pneumatico di dimensioni più che generose. Strano a vedersi, ma utilissimo quando si è in sella.
Il posteriore è adorabile. Come molte Harley Davidson anche questa 48 ha lo stop del freno e il fanalino di coda integrato nelle frecce laterali. Una soluzione estetica davvero appagante che rende subito riconoscibile e personale questa HD. Non ho gradito molto la borsa in dotazione, che sporcava un po l’estetica snella della moto e senza alcun tipo di serratura non era neanche delle più pratiche. Anche in questo caso poco male, in commercio c’è di meglio, ma il suo lo fa.
Torniamo alla guida. Affronto le prime rotonde che ormai dominano le strade del Nord Italia. Già alla prima tocco con qualcosa sull’asfalto. Questa Harley Davidson è agile, ma la luce da terra ridotta non la rende proprio comoda in queste circostanze. Si è sempre un po…impiccati. Il motore invece mostra subito un gran bel carattere. Non è un mostro di prestazioni, ma spinge sempre e sa veleggiare come pochi, merito dell’abbondante coppia. La strumentazione classica ma piuttosto completa incontra il mio gusto, peccato per la mancanza di un qualsivoglia indicatore della benzina o dell’autonomia residua. C’è la spia della riserva, ma potrebbe essere…troppo tardi.
Eh già, perché il serbatoio accoglie meno di una decina di litri. C’è chi dice 8, chi dice 9, ma insomma è chiaro che il “peanut” (così denominato per la sua forma a nocciolina) di litri ne accoglie ben pochi. Prima di fare rifornimento io ne ho comunque usufruito per poco più di 100 km e la spia della riserva era ancora spenta. Quindi, per essere un “V8 americano” i consumi non sono male.
I veri problemi però sono iniziati quando uscendo dalla tangenziale ho iniziato a percorrere strade interne. Avete presente le bande sul manto stradale che servono a rallentare i più veloci? Bene, qui in provincia di Bergamo hanno la giusta profondità, vi consigliano di rallentare ma se non lo fate di certo non spaccate in due l’auto o la moto. Ecco, con l’Harley 48 queste bande rumorose sono una tortura. Le sospensioni della moto americana sembrano prive di escursione e assorbimento. Ogni buca, anche la più piccola sembra un cratere pronto a spaccarvi la schiena. E qui torniamo alle pedane avanzate, che proprio sulla base della loro posizione vi impediscono anche di alzarvi un po quando l’impatto con la buca è inevitabile. Morale? Dolori ovunque e in particolare alla schiena e ai glutei.
In due la situazione non cambia, anzi, peggiora perché l’escursione del tragico ammortizzatore è già a fondo corsa. Vi lascio immaginare le imprecazioni della zavorrino abituata alla Multistrada anche quando la tratta è di pochi chilometri. Per capirci il passeggero difficilmente riuscirà a godersi un viaggio con la 48. In definitiva c’è qualcosa in queste “geometrie” che non torna. Sono certo, avendo toccato con mano, che gli asfalti americani sono decisamente meglio dei nostri, ma ciò non toglie che anche un tombino possa diventare un problema.
Non voglio tirarla per le lunghe, questa non è una vera e propria recensione ma piuttosto il racconto di una esperienza a bordo di un mezzo insolito. Ecco allora che vi dico che pur essendo scomoda, sia nella posizione che nell’assetto, non mi ha impedito di godermela tra il lago di Endine e di Iseo, con tappa a Lovere e poi a Sarnico. Non mi ha impedito di percorrere più chilometri del previsto compreso un giro in città Alta, e non mi ha impedito di far fare a quasi tutta la famiglia un giro da passeggeri.
Una Harley Davidson 48 non sarà mai la sostituta della Multistrada, ma d’altronde non vuole affatto esserlo. Per quello infatti c’è la Panamerica o le Street Glide e compagnia bella. La forty-eight è una sportster che vuole conquistarvi senza chiedervi di rinunciare alla moto che già possedete. La vedo come la perfetta alleata per qualche chilometro nella pausa pranzo o in giornate che non possono essere dedicate alla moto.
La vedo come una leggenda americana che come tale ha sulle spalle il peso degli anni e di un pedigree dall’immensa personalità. Le altre moto sanno farvi svagare, rilassare, distrarre; lei propone una terapia d’urto a livello cerebrale, con tecniche mai viste prima, e se questa terapia funziona, beh, vi avverto, non vedrete altre moto al di fuori delle Harley Davidson.