Alla fine degli anni ’80, La Opel Manta, mitica ma ormai a fine carriera doveva essere sostituita.
Erano anni in cui le coupé erano desiderate e desiderabili e la concorrenza era aggressiva. Volkswagen proponeva la Corrado e Toyota si apprestava – prima volta per un’auto giapponese – a conquistarsi un pezzo di storia del Rally con la Celica guidata da Carlos Sainz e creando terreno fertile per far sbarcare in Europa anche Mitsubishi Eclipse ed Honda Prelude.
Il mercato delle coupé generaliste era in gran fermento e lo sviluppo in corso della Vectra,- sostituta dell’Ascona – dette ad Opel l’occasione per entrarci.
Wayne Cherry il chief designer americano che portò Opel da un linguaggio ancora molto radicato negli anni ’70 ai “tondeggianti” ’90, fu incaricato del progetto e al Salone di Francoforte del 1989 viene presentata la Calibra (pronunciata Kaleebra, dai tedeschi).
Una grande coupé con le linee innovative, i fari piccoli ed aggressivi, la cui produzione fu resa possibile grazie all’adozione dei proiettori lenticolari. Gli specchietti (come su tutte le Opel dell’era Cherry) sembravano uscire direttamente dai lamiera risultando aerodinamicamente meno invasivi di quelli della concorrenza. Il frontale non presentava prese d’aria inutilmente grandi ma una feritoia profilata in basso che pareva arrivare da un caccia F16. I fanali posteriori erano moderni e ben integrati nella carrozzeria che era filante e si interrompeva bruscamente permettendo il distacco del flusso laminare dell’aria. L’altezza di appena 132 centimetri sommata a tutti gli altri piccoli, geniali accorgimenti, regalava alla Opel Calibra un CX di 0,26, uno dei più bassi di sempre.
La Coupé di Rüsselheim però aveva un’altra grande arma per combattere sul mercato. Il passo di 260 cm che le permetteva di avere 4 posti comodi ed un bagagliaio di 300 litri la rendeva estremamente appetibile anche alle famiglie, abituate all’epoca a destreggiarsi con le utilitarie a 3 porte e per nulla spaventate dalle coupé.
Nel 1990 fu proposta con due motorizzazioni. Un 2.0 benzina 8 valvole da 115cv ed un bialbero 16v, entrambi 4 cilindri in linea ed entrambi capaci di farle superare di slancio i 200km/h sulle “sue” Autobahn attorno a Groß-Gerau.
Inizialmente a trazione anteriore nel 1992 arrivò anche con la trazione integrale, il cambio (manuale, ça va sans dire) a 6 marce e 204 CV. 0-100 in 6,8 secondi e 245 km/h di velocità massima; da fare impallidire moltissime auto contemporanee.
Nel 1994 infine venne installato un 2.5 V6 che permise ad Opel di tornare nel DTM. Il maggior peso però la rendeva meno performante della versione 4 cilindri, staccando lo 0-100 in 7,8 secondi ed “appena” 237 km/h di velocità di punta.
Nel 1996, con alla guida il pilota di Mainz, Manuel Reuter ed un motore V6 da 500CV, la Opel Calibra vince il campionato ITC facendo finire in bellezza la carriera di questa coupé che fece della praticità il suo cavallo di battaglia, vincendo la scommessa e diventando la coupé di maggior successo degli anni ’90 con quasi 240 mila esemplari venduti.
In un mercato sempre più florido come quello delle Youngtimer, la Calibra non è ancora “esplosa” come alcune delle sue coetanee. Auto che divide nettamente chi la ama e chi non la può vedere (noi Piedi Pesanti stessi siamo “divisi” nei suoi confronti) merita però un posto nella storia per come ha saputo accarezzare le dure leggi dell’aerodinamica traendone vantaggio e per ricordarci come un’auto pratica e comoda, non debba essere necessariamente un SUV.
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